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Il «De senectute» del XXI secolo (A.Grun)
L’arte di invecchiare
Spesso, da persone che hanno lasciato la vita lavorativa, si sente la frase: «Una volta vivevo sempre con l’agenda. Dovevo pianificare esattamente i miei appuntamenti. Qualche volta era un peso. Ma anche vivere senza agenda, come adesso, non è tanto semplice». Alcuni di quelli che fanno quest’esperienza si chiedono che cosa possono fare perché la loro vecchiaia non diventi un tempo sprecato, inutilizzato. Come si può, da vecchi, fare l’esperienza del tempo in modo nuovo? Le nostre agende hanno il senso di farci sfruttare bene il nostro tempo. Strutturiamo la nostra giornata in modo da poter portare a termine i compiti importanti nel tempo a nostra disposizione. Le persone anziane non hanno più bisogno di programmare il loro tempo fino all’ultimo secondo, perché non devono più rendere il più possibile. È bene, però, che diano al loro tempo una buona struttura. Ognuno dovrebbe scegliere un buon ritmo per la propria giornata. La variazione che portiamo nella giornata attraverso il ritmo ci fa bene. Il tempo sarebbe sprecato se fosse riempito di cose futili, di un continuo brontolare, di rabbia e di liti. Nella vecchiaia non dobbiamo più rendere, ma sarebbe bene vivere il tempo in maniera consapevole. È un’arte che dobbiamo imparare ora, nella vecchiaia: essere interamente nell’attimo,  concentrarci sulle conversazioni che abbiamo, assaporare l’incontro con le persone, lasciarci tempo per gli altri. Il tempo, però, è anche tempo compiuto quando leggo ciò che mi interessa, quando ascolto musica o gioisco di una passeggiata. Se viviamo davvero, il tempo è sempre tempo pieno. La prima frase di Gesù che l’evangelista Marco ci tramanda è: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15).tempo – afferma dunque Gesù – è compiuto se è Dio a regnare su di me e non più la pressione delle molte scadenze o le aspettative delle persone. Nella vecchiaia non sono più tenuto a esaudire le aspettative altrui. Posso vivere in prima persona. Si potrebbe definire il regno di Dio come lo spazio in cui mi è lecito vivere in prima persona, invece di essere vissuto. Chi è interamente nell’attimo e vive consapevolmente proprio quell’attimo fa l’esperienza del tempo come di tempo compiuto. Non è un tempo sprecato, un tempo inutilizzato, ma nemmeno un tempo sottoposto alla pressione di dover ancora farci stare il maggior numero di cose. È tempo regalato, tempo piacevole, tempo di grazia, come lo chiama l’apostolo Paolo. Agli anziani piace raccontare del passato. Per la generazione successiva può senz’altro essere interessante. Ci sono persone anziane che si ascoltano volentieri quando raccontano del passato. Ma ci sono anche persone con le quali ci si dispone a fare entrare le cose da un orecchio e a farle uscire dall’altro, perché si sono sentite già tante volte le vecchie storie. C’è una differenza nel modo in cui racconto del passato, se metto soltanto me stesso e le mie grandi imprese al centro dell’attenzione o se parlo di esperienze che ho fatto con le persone o se rifletto anche su ciò che ho vissuto e cerco di comprenderne il significato per la nostra vita oggi. È importante trasmettere le esperienze e i valori del passato. Ne traggono profitto anche gli altri. Ma, anche da anziani, non bisognerebbe rimanere a quello che è stato. Anche da anziani dobbiamo senz’altro pensare al nostro futuro. Non sappiamo quanti anni Dio ci donerà ancora. Possiamo però pianificare il nostro futuro, dei viaggi, una vacanza. Ciascuno dovrebbe riflettere su come gli piacerebbe vivere gli anni a venire, che cosa vorrebbe ancora realizzare e fare all’esterno. In tutto ciò che programma, però, dovrebbe aggiungere la riserva: «Se Dio vuole». Nella storia ci sono sempre stati vecchi che, in qualità di profeti, hanno avuto un occhio particolare per il futuro. Li incontriamo anche nella Bibbia. Per esempio, Simeone e Anna nella storia dell’infanzia di Gesù narrata da Luca. Il loro esempio dimostra che gli anziani non hanno soltanto il compito di provvedere al proprio futuro e pianificarlo. Spesso hanno anche una responsabilità particolare per il futuro dell’umanità. Simeone e Anna, i due vecchi, riconoscono chi è quel bambino, Gesù, e che cosa porterà al mondo. Le persone anziane, quindi, hanno spesso un occhio particolare per quello di cui c’è bisogno per il futuro del mondo e per che cosa potrebbe essergli d’aiuto per trasformarsi in un futuro migliore. Devono anche comunicarlo all’esterno, ciascuno a modo suo. La nonna fa semplicemente coraggio ai nipoti per il futuro, senza vedere in profondità in esso. Un’altra persona, che ha avuto un posto di responsabilità in un’azienda e ha imparato a conoscere i meccanismi della gestione economica, anche a distanza è in grado di fornire buoni consigli, non soltanto per la sua ex azienda, ma, in generale, per un tipo di gestione che tornerà a benedizione di questo mondo. Ma forse anche proprio con il suo operato. Anthony de Mello racconta una bella storia a questo proposito. Stava per arrivare la stagione dei monsoni e uno vide come il suo vicino, un uomo di età molto avanzata, scavava dei buchi profondi nel suo giardino. «Che cosa fate?», chiese. «Pianto alberi di mango», fu la risposta. «Volete ancora mangiare i frutti di questi alberi?». «No», replicò il vecchio, «non vivrò più così a lungo. Ma ci saranno degli altri. Poco tempo fa mi è venuto in mente che per tutta la vita ho mangiato dei manghi piantati da altri. In questo modo desidero dimostrare loro la mia gratitudine».
di Anselm Grün, Avvenire 23.1.11




Solo sosta: divieto di fermata di don Marco Pozza
Un crisantemo sulla tomba e una lacrima sul viso. Celebre quell'espressione dell'Ungaretti poeta: "Si sta come, d'autunno, sugli alberi, le foglie" (Soldati, 1918). Foglie che ingiallite cadono. Terra strapazzata e ferita dall'aratro, Castagne copiose nella fornelladell'appassionata massaia. E poi i colori caldi dei boschi, l'aria profumata delle vallate, l'alternarsi di tramonti rossastri e di albe lussureggianti. E qualche fiocco di timida neve. E' l'autunno della natura che tanto somiglia all'autunno della vita: forze che vacillano, pensieri che s'impigriscono, eco di antiche nostalgie. Il tocco di una campana, magari lenta, incupisce il cuore e rende malinconico il volto. Perchè ci ricorda che, nonostante tutto l'apparire, quaggiù è sempre e solo una terra di passaggio, zona d'allenamento, occasione di prova.
E' lassù la casa.
Un genio l'uomo: dalla ruota alla polvere da sparo, dal bacillo dell'aviaria alla luce, dalla "particella di Dio" alla macchina a vapore, dalla fotografia alla scrittura, tutto porta la sua firma. La sua appassionata ricerca delle leggi che regolano la musica del Creato. Nei laboratori l'uomo studia, s'arrovella, si stupisce. Nelle fabbriche lavora, guadagna, progredisce. Nelle chiese prega, s'accomuna, elargisce. Nelle case litiga, progetta e s'impoverisce. L'uomo può tutto: camminare, correre, saltare. Giocare, pensare, stupire. Crescere, diminuire, battagliare. L'uomo è potenza perché tutto sembra ai suoi piedi. Poi basta un tocco lento di campana per ficcargli nell'anima faticosi punti interrogativi: che senso ha vivere, faticare, sudare se poi tutto scompare? Sono bello: ma morirò. Sono ricco: ma finirà. Sono un genio: ma passerò. Perché tutto scomparirà.

E l'uomo - anticaglia uscita perfetta da Mani di Genio Innamorato - trema. Pensa, riflette, ha paura. Illusosi d'aver strappato all'Eterno l'immortalità, avverte l'angoscia dell'inedito, dell'imprevedibile. Le notizie giornalistiche parlano di città che s'attrezzano per formare operatori funebri, gente che aiuti a metabolizzare lo shock. Imprese funebri che s'accaparrano modelle svestite per abbellire la morte. Accanimenti paurosi per cercare di dribblare ciò che, inizialmente, era la nascita verso l'Eterno. Verso la pienezza. Verso la Gioia. Ricordo da bambino le lunghe veglie funebri con il defunto tenuto in casa. E coi bambini si pregava, lo si vegliava, gli si stava vicino nell'ora del passaggio. Tra canti, preghiere e litanie gli occhi dei piccoli apprendevano una legge bella, di vita, colorata: quasi uno squarcio di luce lanciato verso il cielo. Attimi di anticipata eternità. Perché - vite povere in esistenze ricche di cielo - l'Eterno era il premio, l'approdo, il senso di una vita. Oggi la morte fa paura. Così paura che, per paura, non se ne parla più. E così la paura cresce, monta, s'ingigantisce. La paura diventa angoscia. "Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, hanno deciso, per rendersi felici, di non pensarci" (B. Pascal). Angoscia di una linea di febbre, di un cielo minaccioso, di un suono forestiero. Di uno sguardo, di uno sconosciuto accanto, di una mano troppo fredda. Ci pensavamo dèi: ci vediamo uomini sganciati da Dio. Uomini che corrono, imprecano e dimenticano per paura di pensare. Ma perché correre se non si sa dove andare? Sulla memoria del fratello morto, Foscolo tratteggiò l'amara consapevolezza dell'umana fatica: "Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, mi vedrai seduto sulla tua pietra..." (In morte del fratello Giovanni). Della morte nutriamo riverente spavento: in realtà tanti sono già morti. Non nel fisico, magari, ma nell'anima le esequie sono terribili: giovinezze spente, amori infranti, sogni lacerati. Tradimenti, disillusioni, sospetti. Maldicenze, voltafaccia, inganni. Sta decedendo lo stato, la democrazia, la finanza. Dio urla, sussurra, agisce: ma l'uomo corre. Dio tenta l'appostamento: l'uomo Lo sposta, Lo evita, Lo irride. Dio l'attende al varco: l'uomo è angosciato.
E' il buio che fa paura al bambino. E' l'esame che terrorizza lo studente. E' la malattia che intristisce la mamma. E' la solitudine che impensierisce il nonno. Ma certi attimi si ha paura: non di qualcosa, ma paura e basta. L'angoscia del vivere, dell'essere abbandonato. La paura in cui l'Amore non riesce più ad entrare. La paura di chi nell'esistenza non ha innestato un senso al suo vagare.
L'Uomo della Croce un giorno ebbe a dire: "Chi vive e crede in me non morirà in eterno" (Gv 11,26). Non è promessa che eviteremo la morte. Ma molto di più: è certezza celeste che la morte della creatura non sarà più assurda e insignificante. Non sarà tolta. Ma semplicemente trasformata. Perché il sogno di Dio è di riabbracciarsi commosso con le sue creature.

Peccato aver voluto duplicare il brevetto di Dio sulla morte. Ne è uscita un'occasione d'angoscia. Quando la sua era spazio di vita. Eterna, tra l'altro.