venerdì 21 dicembre 2012

attento alle nostre grida che un giorno si è pure fatto uomo.


Il tempo di Geremia è un tempo di crisi, un tempo oscuro e ostico, in cui Dio sembra fuori mano e in cui l’essere umano ha perso la pazienza e si appropria il mondo senza più considerare il suo creatore.
Dio sa che confondiamo i nostri sogni con la sua volontà, sa che la nostra sofferenza è tale che siamo tentati dai mercanti di illusioni.
Dio lo sa e perciò dice:
“Potrebbe uno nascondersi in luogo occulto in modo che io non lo veda? Io non riempio forse il cielo e la terra?” (v. 24).
Se l’essere umano perde la pazienza di fronte alle  difficoltà,
Dio non sopporta più la sofferenza delle sue creature.
Le vede smarrite e impazzite,
le vede negoziare illusioni nel suo nome.
Anche Dio in un certo senso perde la pazienza di fronte alla nostra mancanza di coraggio e di fiducia.
Anzi forse c’è anche un po’  di rabbia in Dio quando dice:
“Fino a quando durerà questo?”
Fino a quando saremo così impauriti da seguire buffoni e ladri anziché la voce del Signore?
Eppure Dio è generoso, fedele, testardo.
E così, a furia di sentire grida di dolore, stanco di vedere eserciti di falsi profeti, di manipolatori,  di mascalzoni, Dio si avvicina.
Da lontano diventa vicino; da osservatore critico diventa protagonista.
Nel pruno ardente Dio dice a Mosè che ha sentito le grida di dolore del popolo schiavo in Egitto. Nel testo di Geremia Dio promette un futuro prospero al suo popolo in esilio a Babilonia.
La distanza diminuisce quando la sofferenza è eccessiva, Dio è compassionevole. La
domanda chiave da parte di chi soffre e da parte di Dio che vede gli abusi e i disastri risuona
forte: fino a quando? L’incertezza, l’instabilità e la crisi distruggono la speranza e fanno del
tempo che passa senza soluzione un nemico cruente. Fino a quando?
Invio
La nostra fede non dà nessuna risposta a questa domanda angosciante.
Né a chi vive mese dopo mese sempre più con l’acqua alla gola, né a chi vive in tende e in baracche perché la terra non smette di tremare.
Non c’è pace nella precarietà, non c’è neanche tregua.
L’unica certezza che ci rimane è quella di un Dio che afferma di essere sia lontano sia vicino.
E talmente attento alle nostre grida che un giorno si è pure fatto uomo.
Amen.

Past. Janique Perrin / Geremia 23, 23-28a 3  10/06/12

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