giovedì 27 ottobre 2011

pur sapendo di perdere metà lettori


Fabio Pipinato (direttore di Unimondo)
www.unimondo.org
L’appuntamento di Todi è stato importante. L’aver ritrovato un tavolo comune, tra fratelli in diaspora, non è banale in tempi ove l’individualismo va alla grande. Il titolo sobrio e quanto mai attuale: “Una buona politica per il bene comune”. Sin qui tutto bene.
L’esito? Non me ne vogliano, ma mi sembra un po’ scontato. Lo riporto pur sapendo di perdere metà lettori: un governo più forte, un no alle elezioni anticipate, una nuova legge elettorale, un rafforzamento del welfare e una riforma del fisco che metta al centro la famiglia. Non dico che ci si sarebbe aspettato un Codice di Camaldoli ma qualche riflessione in più intra anziché extra poteva ben emergere.
Che significa “intra”? I cattolici si sono dati appuntamento per dire cosa gli altri (alias, il governo) – dovrebbero fare? (extra). Legittimo. Forse sarebbe meglio cambiare angolatura per comprendere cosa i cattolici potrebbero fare. E ne avremmo a sufficienza. Prima di rimuovere la trave che è nell’occhio di tuo fratello forse è il caso di spostare la capriata che sta nel nostro; parafrasando il Vangelo.
Tento, quindi, di declinare qualche verbo che ci possa aiutare ad affrontare la crisi prima di senso e poi economica ed ambientale.
Rinunciare all’8 x mille che non sia specificamente destinato alla Chiesa cattolica. Nel contempo si rinuncia al privilegio del non pagare le tasse (l’Iva) se l’opera (l’albergo) è “di religiosi” o se la struttura ha annessa una cappelletta/chiesetta. Insomma, in uno Stato dai privilegi diffusi serve qualcuno che faccia il primo passo in tutt’altra direzione.
Vendere. Non mi riferisco solo alle Diocesi, alle parrocchie ma, in primis, alle associazioni cattoliche di cui sono parte. Sono spesso appesantite da immobili; strutture. Alcuni circoli non parlano d’altro. Forse dovremmo diventare più leggeri; più agili. Vendere le strutture per dare un futuro alle organizzazioni già esistenti che necessitano d’ossigeno. Un cambio di paradigma: non più muri ma persone.
Appassionare. Non basta più impiegare; non abiteremo il nostro tempo. Appassionare è un imperativo. Basta con gli impiegati demotivati con l’orologio in mano, recupero ore, lungo elenco di diritti acquisiti, tutti telefono, caffè e gossip. E poi ci permettiamo di criticare i ministeriali. Chi lavora per il welfare deve essere appassionato al “bene comune”; alla costruzione della cattedrale. Certo. Servono forti iniezioni di formazione, motivazione ma soprattutto incentivi meritocratici che si ispirino un po’ più al toyotismo che al fordismo, per dirla con l’economia applicata.
Incentivare. Abbiamo l’obbligo, in tempi di lavoro scomposto, d’incentivare i giovani più meritevoli con un’addizionale di reddito pari a quella data dal servizio civile. Perché? Le associazioni cattoliche sedute attorno al tavolo di Todi sono state fondate quando c’era la Chiesa di Pio XII, i partiti di massa, l’associazionismo di massa. V’erano contratti indeterminati, ferie pagate, baby pensioni; oggi tutto è cambiato. Molte persone hanno contribuito non poco alla crescita di queste Istituzioni donando il surplus di tempo in forma volontaria. Ma lo potevano fare perchè erano coperti da un minimo salariale. Oggi possiamo chiedere ai giovani di “esser parte/farsi carico” solo se garantiamo loro le risorse minime che andranno a sommarsi ad altre loro entrate.
Ridurre. Le associazioni cattoliche sono pronte a chiedere una riduzione dei costi della politica. Più che legittimo in tempi di crisi economica e non solo. Ma la sfida, anche qui, non sta all’esterno ma al proprio interno. Il divario tra il costo dei dirigenti, segretari generali ed i giovani di cui sopra deve ridursi drasticamente se vogliamo recuperare credibilità agli occhi della gente. E’ semplicemente immorale che un dirigente di un’Associazione cattolica possa superare il reddito di un parlamentare. Potremmo, invece, ricavare nuove risorse per garantirci futuro.
Aprire. Il tavolo di Todi è una modalità per conoscere l’altro che sta accanto a me e con il quale potrei collaborare, visto il “comun sentire”. Ma guai se diventa una roccaforte in difesa del “noi”. Se sta in collina anziché scendere a valle. L’approccio dell’ “economia civile” dovrebbe rileggere i tempi. Non siamo più noi “primo mondo” che dettiamo legge e vangelo agli altri mondi ma una dose di umiltà ci potrebbe portare ad apprendere dai laboratori implementati da altre religioni sparsi nel pianeta. Dalle tigri asiatiche al Brasile passando per il Sudafrica. Insomma, per stare al mondo bisogna conoscere il mondo.
Allocare. Immorale è investire in “banche armate“, in banche che favoriscono il commercio d’armi con i Sud del mondo. Oggi esistono alternative consolidate come Banca Etica e altre banche che hanno fatto scelte precise o moltissimi istituti di microcredito e microfinanza che investono sul lavoro e non sulla speculazione finanziaria che è concausa di questa crisi. Questi mondi come il commercio equo e solidale, il biologico non appartengono più alla sfera della “simbologia” ma sono parte dell’economia reale. Qui servirebbe un cambio di passo da parte del mondo cattolico che ha contribuito, peraltro, a far nascere questi mondi.
Negoziare. Dovremmo anche aprire lo scrigno dei principi non negoziabili. Suvvia; lo stanno facendo anche i talebani a Kabul per la transizione nel 2014 e la libertà di stampa sta entrando in Myanmar. Se tutto si riduce alla difesa intransigente del “non negoziabile” non se ne esce. Nei comportamenti morali non c’è differenza tra laici e cattolici in quanto a Todi metà erano divorziati come, parimenti, non pochi giovani della GMG si sono “appartati usando anticoncezionali”. Insomma, si dovrebbe cercare di andare oltre la contrapposizione ideologica.
Privilegiare. Il rapporto Caritas dà una fotografia drammatica dell’Italia di oggi: oltre 8 milioni di poveri. Possiamo inserire al primo posto in tutti gli odg (ordine del giorno) di tutti gli incontri a tutti i livelli cosa possiamo fare noi (non il governo) come associazioni cattoliche per i nostri poveri? I poveri non possono stare tra le “varie ed eventuali” perché non sono eventuali. Ci sono. E saranno sempre con noi. Punto.

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