giovedì 2 giugno 2011

Dio non comunica “l’allegria”, bensì la “gioia”

Il prezzo dell'amore!
Costa dire: «Hai ragione!».
Costa dire: «Perdonami!».
E costa a anche dire: «Ti perdono!».
Costa la confidenza.
Costa la pazienza.
Costa fare una cosa che non hai voglia di fare,
ma che lui o lei vuole.
Costa cercar di capire.
Costa custodire il silenzio.
Costa mantenere la fedeltà
o trattenere le lacrime che fanno soffrire.
Costa essere stanchi e sorridere.
A volte costa impuntarsi, a volte cedere.
Costa dire: «È colpa mia».
Costa confidarsi e ricevere confidenze.
Costa la lontananza e costano i distacchi.
Costa accettare i difetti altrui.
Costa cancellare piccole ombre.
Costa condividere i dolori.
Costa dire opinioni differenti
e cercare insieme la soluzione.
Costa dire no, costa dire sì.
Ma questo è il prezzo da pagare
per diventare veri uomini,
per generare umiltà e vita!
Questo è il prezzo dell'amore!

In occasione dell’arresto di Paolo e Sila: tutti i carcerati rimangono in silenzio nella notte, perché non hanno niente da dire, sentendosi schiacciati dalla loro personale sventura. Paolo e Sila invece cantano inni a Dio. Meravigliosa libertà dei cristiani: non essere mai schiacciati dalle circostanze avverse! Il loro spirito si innalza sempre al di sopra di tutto per cantare inni di lode a Dio, che è perennemente vittorioso su ogni male, e i cristiani lo sono con Lui. 
L’ultima parola non è il pianto, non è l’afflizione dei giusti: “Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia”. La gioia è posta da Gesù in contrasto con l’allegria del mondo: “il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia”. Non a caso qui vengono accostate due parole, che sembrano uguali, ma vogliono indicare due modi diversi di essere felici. Il mondo conosce l’allegria; i cristiani conoscono la gioia, una gioia che però rappresenta il frutto maturo dell’afflizione contenuta nell’esperienza della croce. L’afflizione operante nel mistero pasquale uccide in noi quello che deve morire. Si tratta di un’afflizione che comunque dura poco, anche se ai nostri occhi, e alla misura del nostro tempo, può sembrare talvolta anche lunga: “Dicevano perciò: Che cos’è mai questo un poco di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire” (v. 18). In fondo è la descrizione del nostro stesso atteggiamento dinanzi ai decreti di Dio, che talvolta ci fanno passare attraverso la sofferenza. Dal punto di vista di Dio è soltanto un po’ questo passaggio della persona nella valle oscura, perché l’ultima parola, quella definitiva, è la Parola di luce, la comunicazione della gioia che viene da Dio e non ha più termine. E Dio non comunica “l’allegria”, bensì la “gioia”. L’allegria è infatti una felicità superficiale, che deriva dall’aver dimenticato momentaneamente (ma non sconfitto) i propri mali; totalmente diversa è la gioia, che invece scaturisce da un’effettiva vittoria sul male.

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