martedì 11 gennaio 2011

fammi o Signore tuo servo perchè possa chiederti: lasciami andare in pace

L'episodio (di Simeone - cfr Lc 2,25-35) ha in sé qualcosa di profondamente umano: l'uomo che gioisce del fatto che altri continuino la propria opera; l'uomo che gioisce del fatto che, pure nella propria decadenza, vi sia un risveglio, un rinnovo, qualcosa che vada avanti. Se il brano ci insegnasse anche soltanto questo, sarebbe già molto valido per la nostra vita. Non è facile infatti che il vecchio che è in noi accolga il bambino, il nuovo. C'è piuttosto il timore che il bambino non potrà continuare, che non vorrà seguire lo stesso ideale, che prenderà il suo posto mettendo da parte il vecchio, e addirittura che tradirà.
Il vecchio Simeone che abbraccia un bambino è una realtà molto importante, perché rappresenta ciascuno di noi di fronte alla novità di Dio. La novità di Dio si presenta come un bambino e noi, con tutte le nostre abitudini, paure, timori, invidie, preoccupazioni, siamo di fronte a questo bambino. Lo abbracceremo, lo accoglieremo, gli faremo spazio? Questa novità entrerà davvero nella nostra vita o piuttosto tenteremo di mettere insieme vecchio e nuovo cercando di lasciarci disturbare il meno possibile dalla presenza della novità di Dio?
Ecco un primo momento di preghiera: «Signore, fa' che ti accolga come il nuovo nella mia vita, che non abbia paura di te, che non ti misuri con i miei schemi, che non ti voglia incasellare nelle mie abitudini mentali. Fa' che io mi lasci trasformare dalla novità della tua presenza. Fa', o Signore, che, come Simeone, io ti accolga nella tua novità, in ogni cosa che, intorno a me, è vera, nuova e buona. Che io ti accolga in tutti i bambini di questo mondo, in ogni vita, in ogni fermento di novità che tu metti intorno a noi, nella nostra società, nel mio cuore».

card. Carlo Maria Martini, Qualcosa di così personale, 32-33

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