sabato 25 settembre 2010

oh meraviglia delle meraviglie, cambiai

Per anni sono stato un nevrotico. Ero ansioso, depresso ed egoista. E tutti continuavano a dirmi di cambiare. E tutti continuavano a dirmi quanto fossi nevrotico.
E io mi risentivo con loro, ed ero d'accordo con loro, e volevo cambiare, ma non ci riuscivo, per quanto mi sforzassi.
Ciò che mi faceva più male era che anche il mio migliore amico continuava a dirmi quanto fossi nevrotico. Anche lui continuava a insistere che cambiassi.
E io ero d'accordo anche con lui, e non riuscivo ad avercela con lui. E mi sentivo cosi impotente e intrappolato.
Poi, un giorno, mi disse: «Non cambiare. Rimani come sei. Non importa se cambi o no. Io ti amo così come sei; non posso fare a meno di amarti».
Quelle parole suonarono come una musica per le mie orecchie: «Non cambiare. Non cambiare. Non cambiare... Ti amo».
E mi rilassai. E mi sentii vivo. E, oh meraviglia delle meraviglie, cambiai!
Anthony de Mello
Il canto degli uccelli

venerdì 24 settembre 2010

Calmami Signore

CALMAMI, SIGNORE…
Attenua i battiti del mio cuore acquietando la mia mente.
Calma la mia andatura frettolosa con la visione del tempo che sfocia nell’eternità.
Dammi, nella confusione della giornata, la tranquillità dei colli eterni.
Spezza le tensioni dei miei nervi e dei miei muscoli con la dolce musica dei ruscelli mormoranti, che vive nel mio ricordo.
Aiutami ad assaporare il magico potere ristoratore del sonno.
Insegnami l’arte di concedermi alcuni minuti di riposo, di fermarmi a guardare un fiore,
a scambiare due parole con un amico, ad accarezzare un cagnolino, a leggere alcune righe di un buon libro.
Calmami, Signore, e ispirami come affondare le radici nel terreno dei valori stabili della vita,
affinché io mi innalzi verso le stelle del mio alto destino.

giovedì 23 settembre 2010

Questa è la via che cerchi

CONCENTRAZIONE E COMPASSIONE
(per ben ascoltare e aiutare)
Un giovane che aveva gravi problemi si presentò un giorno in un monastero e chiese di parlare con l’abate. “La vita è per me un peso insopportabile”, gli dichiarò. “Quando mi alzo la mattina, mi chiedo perché lo faccio; ogni giorno è una sofferenza; non so più a chi rivolgermi. Ho sentito dire che il buddismo promette la liberazione dal dolore, già qui in questa vita. Ma io non sono capace di lunghi sforzi: non potrei passare anni a meditare o a fare sacrifici. Avrei bisogno di un metodo semplice e immediato, di una via breve: Mi sapete dire se esiste?”
L’abate gli domandò: “Che cosa sai fare?”. “Non so fare niente e non sono nemmeno capace di studiare”. “Ma c’è qualcosa che ti piace fare?” “Soltanto una cosa: giocare a scacchi”.
L’abate ordinò che gli venissero portate una scacchiera e una spada. Poi mandò a chiamare un monaco. “Tu mi hai giurato obbedienza”, gli disse. “Ora devi mantenere il tuo voto. Giocherai una partita a scacchi con questo giovane. Ma, bada bene: se perderai, ti taglierò la testa con questa spada. Se invece sarà lui a perdere, taglierò la sua testa. Vi prometto, comunque, che chi morirà raggiungerà in quel momento l’illuminazione”.
I due giovani fissarono pallidi l’abate e capirono che non stava scherzando. Ma non se la sentirono di tirarsi in dietro: erano infatti lì per quel motivo: per raggiungere l’illuminazione e, con essa, la liberazione da ogni sofferenza. E sapevano di dover rischiare ogni cosa, anche la vita. Così acconsentirono e incominciarono a giocare.
Entrambi si concentrarono come non avevano mai fatto: le loro gocce di sudore cadevano sulla scacchiera, che ormai rappresentava tutta loro vita, tutto il loro mondo. Vincere o morire: non c’era una terza possibilità.
L’abate li osservava impassibile, con la spada in mano.
Il giovane si trovò dapprima in svantaggio, ma poi il monaco fece una mossa sbagliata, che in breve lo mise in difficoltà. “La vittoria non può più sfuggirmi” pensò il giovane. E si mise a guardare l’avversario. Vide che aveva solo qualche anni più di lui, notò l’espressione seria e capì che doveva aver trascorso anni in quel monastero, sottoponendosi a prove e sacrifici. Certo, anche l’altro sentiva la sofferenza della vita e voleva liberarsene; e si era, per questo, impegnato con tutte le sue forze. Che differenza c’era fra loro? Nessuna; solo che lui, il monaco, si era impegnato di più. Ma ora stava perdendo a quel gioco, e sarebbe morto.
Il giovane, a questo punto, provò una grande compassione per il suo avversario e non desiderò più vincere. Compì una serie di errori deliberati, finchè fu vicino alla sconfitta definitiva, allo scacco matto.
A quel punto l’abate si alzò, sollevò in alto la spada e l’abbattè….non sul collo del giovane, ma sulla scacchiera, che andò in frantumi.
“Non c’è né vinto, né vincitore”, dichiarò. “E quindi non taglierò la testa di nessuno”. Poi, rivolto al giovane, aggiunse:”Due sole cose sono necessarie: la concentrazione e la compassione. Tu oggi le hai esperimentate entrambe. Eri completamente concentrato nel gioco e, in quella concentrazione hai potuto sentire compassione per il tuo avversario. Questa è la via che cerchi”.

mercoledì 22 settembre 2010

Potendo rivivere la mia vita

         SE TORNASSI A VIVERE…
Qualcuno mi ha chiesto giorni fa se, potendo rinascere, avrei vissuto la vita in maniera diversa. Lì per lì ho risposto di no, poi ho ripensato un po’ su e…
Potendo rivivere la mia vita, avrei parlato di meno e ascoltato di più.
Non avrei rinunciato ad invitare a cena gli amici soltanto perché il mio tappeto aveva qualche macchia e la fodera del divano era stinta.
Avrei trovato il tempo di ascoltare il nonno quando rievocava gli anni della sua giovinezza.
Non avrei mai preteso, in un giorno d’estate, che i finestrini della macchina fossero alzati perché avevo appena fatta la messa in piega.
Non avrei lasciato che la candela a forma di rosa si sciogliesse, dimenticata, nello sgabuzzino. L’avrei consumata io, a forza di accenderla
Mi sarei stesa sul prato con i bambini senza badare alle macchie d’erba sui vestiti.
Avrei pianto e riso di meno guardando la televisione e di più osservando la vita.
Avrei condiviso maggiormente le responsabilità di mio marito.
Mi sarei messa a letto quando stavo male, invece di andare febbricitante al lavoro quasi che, mancando io dall’ufficio, il mondo si sarebbe fermato.
Invece di non vedere l’ora che finissero i nove mesi di gravidanza, ne avrei amato ogni attimo, consapevole del fatto che la stupenda cosa che mi viveva dentro era la mia unica occasione di collaborare con Dio alla realizzazione di un miracolo.
                                                                                                             (Erma Bombeck)

martedì 21 settembre 2010

un certo grado di verità operante e trasformatrice rimane sola e ribelle

La vita umana chiede sempre di essere trasformata,
di modificarsi continuamente a contatto con certe verità
che non si possono offrire senza persuasione,
dato che la loro essenza non sta nell’essere conosciute
bensì nell’essere accettate.
Quando la vita umana non accetta dentro di sé
un certo grado di verità operante e trasformatrice
rimane sola e ribelle,
e qualsiasi conoscenza che acquisisce non le basterà.
Saremo saggi e barbari,
perché il cuore continua a essere ribelle,
gli istinti a essere indomiti
e la volontà senza freno;
e questo per incapacità di agire veramente
e di trovare una comunicazione effettiva
MARIA ZAMBRANO

ogni tuo ritorno lo riempie di gioiosa commozione


Una bella storia per noi “smemorati” di Dio e della sua infinita misericordia...
Giorni fa ho incontrato un amico che tutti chiamano il "mangiapreti", perché nessun prete si salva dalle sue critiche. 
Appena mi vede, scarica la solita raffica contro i preti, i frati e le suore.
Prima di finire la sua litania contro i confessori, rettifica subito: "Se devo dire la verità: vado volentieri a confessarmi da don Vittorio".
"Tu vai a confessarti?". 
"Si, ho ripreso da poco. Ho trovato un prete che fa per me. Lo indicherò a tutti i miei amici, soprattutto a quelli che hanno qualche problema in più e temono di essere giudicati dal confessore che li conosce. A dire il vero, don Vittorio mi conosce da tanto tempo, ma ti ripeto che è un confessore straordinario. Ogni volta che ci vado mi fa una festa che mi sorprende: mi riceve come il suo miglior amico, e mi sembra che più grossi sono i miei peccati meglio mi tratta. Il suo comportamento è come quello di Dio: quel Papà che, nell'abbraccio, non ti lascia finire tutto quello che vorresti piangergli addosso. 
Ecco, don Vittorio è uno smemorato come Dio. Ti vede, ti rivede, ma non ricorda nessuna delle colpe che gli hai confessato. Mi stima sempre e dal suo sguardo non vedo mai trapelare un cenno di rimprovero. Anzi, ciò che maggiormente mi sorprende e mi conforta, è che ad ogni peccato che confesso mi sorride con paterna benevolenza".
Grazie, amico "mangiapreti". Mi fai rivivere il vangelo che parla del gioioso abbraccio del Padre misericordioso, che “corse incontro (al figliol prodigo), gli si gettò al collo e lo baciò" (Lc 15,20). Mi richiami le parole sorprendenti di Dio che, scandalizzando i "giusti", afferma che "Bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato" (Lc 15,32). 
È stato giustamente detto che: " Dio non solo ti perdona, non solo dimentica i tuoi peccati, ma dimentica anche di averti perdonato”.
Ne prendo atto. È proprio vero. Dio non ricorda il tuo passato, perché ogni tuo ritorno lo riempie di gioiosa commozione.
Anch'io posso dimenticare il mio passato quando sperimento la gioiosa sorpresa del perdono.
Per scrivere a suor Nella Letizia: nellaletizia@giovani.org nellaletizia@giovani.org 

lunedì 20 settembre 2010

la notte è scura la casa è lontana


Luce gentile

(Lead, Kindly Light)

Conducimi tu, luce gentile
conducimi nel buio che mi stringe;
la notte è scura la casa è lontana,
conducimi tu, luce gentile.
Tu guida i miei passi, luce gentile
non chiedo di vedere assai lontano
mi basta un passo solo il primo passo
conducimi avanti luce gentile.
Non sempre fu così, te ne pregai
perché tu mi guidassi e conducessi
da me la mia strada io volli vedere
adesso tu mi guidi luce gentile.
Io volli certezze dimentica quei giorni,
purché l'amore tuo non m'abbandoni
finché la notte passi, tu mi guiderai,
sicuramente a te luce gentile.
Conducimi tu, luce gentile
conducimi nel buio che mi stringe;
la notte è scura la casa è lontana,
conducimi tu, luce gentile.

(Cardinale John Henry Newman, Sicilia 1832)

domenica 19 settembre 2010

Arriva un momento nella vita
in cui non rimane altro da fare
che percorrere la propria strada fino in fondo.
Quello è il momento d'inseguire i propri sogni,
quello è il momento di prendere il largo,
forti delle proprie convinzioni.
(Sergio Bambarén)
L'errore di un uomo
non diventa la sua legge,
né lo obbliga
a persistere in esso.
(Thomas Hobbes)
Quant'è vero questo
aforisma! Tutti sbagliamo, è davvero umano, farcene una colpa
oltremisura ci sottopone ad un'inutile tortura psichica. Ma
all'accorgersi di un errore si reagisce in maniera diversa: c'è chi ne
prende atto, impara da esso e poi lo lascia andare, e chi percepisce
quell'errore come una condanna definitiva, come se sentisse di doverne
pagare il fio a vita, o comunque per un tempo troppo lungo. Come se,
visto che l'errore è ormai stato commesso, sia ineluttabile, anzi quasi
legittimo, rimanere in esso.
Non è così. Chi sbaglia e riconosce l'errore, deve - potendo - porvi
rimedio, e se ciò non è possibile, deve comunque uscirne, "lasciandolo
andare". Non farlo significa condannare la propria vita, o porzione di
essa, ad una prigione dalla quale, indipendentemente da come ci siamo
entrati - con o senza colpa, ci rifiutiamo noi stessi di uscire.

nelle braccia di chi hai aiutato ci sono le braccia di Dio...non guarderà a te, ma attorno a te


padre Ermes Ronchi
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (19/09/2010)
Vangelo: Lc 16,1-13 (forma breve: Lc 16,10-13)   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 16,1-13 (forma breve: Lc 16,10-13))
Il padrone lodò l'ammini stratore disonesto, perché aveva agito con scaltrez za: il padrone loda chi l'ha derubato. Questa conclusio ne sorprendente è il nodo cruciale del racconto che ha il suo punto di svolta in una domanda: e adesso che cosa farò?
La soluzione adottata è quel la di continuare la truffa', an zi di allargarla, eppure acca de qualcosa che cambia il senso del denaro, ne rovescia il significato. L'amministra tore trasforma la ricchezza in strumento di amicizia; rega la pane, olio - vita - ai debi tori; fa di ciò che ha un sa cramento di comunione. La ricchezza di solito chiude le case, tira su muri, installa al larmi; ora invece il dono le a pre: mi accoglieranno in ca sa loro.
Gesù commenta la parabola con una parola bellissima: «Fatevi degli amici con la ric­chezza», la più umana delle soluzioni, la più consolante, donando ciò che potete e più di ciò che potete, ciò che è giusto e perfino ciò che non lo è! Non c'è comandamen to più gioioso e più nostro. E contiene la saggezza del vi vere: chi vince davvero nel gioco della vita? Chi ha più a mici, non chi ha più soldi.
Notiamo le parole precise di Gesù: fatevi degli amici per ché essi vi accolgano nella ca sa del cielo. Essi, non Dio. E non solo qua, ma nella vita eterna, hanno loro le chiavi del paradiso. Ma nelle braccia di chi hai aiutato ci sono le braccia di Dio.
Perché il disonesto, e lo sono anch'io che ho sprecato tan ti doni di Dio, sarà accolto nel Regno? Perché lo sguardo di Dio non cerca in me il male che ho commesso, ma il be ne che ho seminato nei sol chi del mondo. Non guarderà a te, ma attorno a te: ai tuoi poveri, ai tuoi debitori, ai tuoi amici. Sei stato disonesto? Ora copri il male di bene. Hai causato lacrime? Ora rendi felice qualcuno. Hai rubato? Ora comincia a dare. La mi gliore strategia che Dio pro pone: coprire il male di bene. E adesso che cosa farò? Senza volerlo l'amministratore fa qualcosa di profetico, opera verso i debitori allo stes so modo con cui Dio continuamente opera verso l'uo mo: dona e perdona, rimet te a noi i nostri debiti. Che fa re?
In tutte le nostre scelte il principio guida è sempre lo stesso: fare ciò che Dio fa', cuore di tutta l'etica cristia na. Siate misericordiosi co me il Padre... amatevi come io vi ho amato...
Mi piace questo Signore al quale la felicità dei figli im porta più ancora della loro fedeltà, che pone le persone prima dei suoi interessi, pri ma del suo grano e del suo o lio, che accoglierà me, fede le solo nel poco e solo di tan to in tanto, proprio con le braccia degli amici, di colo ro con cui avrò creato comu nione.