domenica 19 settembre 2010

Arriva un momento nella vita
in cui non rimane altro da fare
che percorrere la propria strada fino in fondo.
Quello è il momento d'inseguire i propri sogni,
quello è il momento di prendere il largo,
forti delle proprie convinzioni.
(Sergio Bambarén)
L'errore di un uomo
non diventa la sua legge,
né lo obbliga
a persistere in esso.
(Thomas Hobbes)
Quant'è vero questo
aforisma! Tutti sbagliamo, è davvero umano, farcene una colpa
oltremisura ci sottopone ad un'inutile tortura psichica. Ma
all'accorgersi di un errore si reagisce in maniera diversa: c'è chi ne
prende atto, impara da esso e poi lo lascia andare, e chi percepisce
quell'errore come una condanna definitiva, come se sentisse di doverne
pagare il fio a vita, o comunque per un tempo troppo lungo. Come se,
visto che l'errore è ormai stato commesso, sia ineluttabile, anzi quasi
legittimo, rimanere in esso.
Non è così. Chi sbaglia e riconosce l'errore, deve - potendo - porvi
rimedio, e se ciò non è possibile, deve comunque uscirne, "lasciandolo
andare". Non farlo significa condannare la propria vita, o porzione di
essa, ad una prigione dalla quale, indipendentemente da come ci siamo
entrati - con o senza colpa, ci rifiutiamo noi stessi di uscire.

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