domenica 15 agosto 2010

Maria ed Elisabetta si benedicono, cantano, danzano, sono piene di vita perché comprendono...

Donne che danzano e uomini che lottano
don Marco Pedron  
Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15/08/2010)
Vangelo: Lc 1,39-56   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 1,39-56)
Continua...Il compito di ogni uomo allora è essere madre, cioè dare alla luce ciò che ha dentro, dare forma a ciò che è informe, far nascere, partorire il mistero che contiene in sé. La chiamata per tutti noi è quella di generare la nostra anima, di far nascere il Dio che ci abita, che chiede spazio in noi, che chiede di vivere nella nostra vita.
Non so cosa mi abita, non so dove mi porterà; come non conosco il volto di mio figlio, come lo ricevo come un dono che accoglierò incondizionatamente, al di là di come sarà, così sono chiamato a prendermi cura del "figlio", del mistero che vuole nascere in me. Sarò padre e madre non tanto se avrò figli naturali ma se saprò generare il mistero di Dio che chiede di nascere in me. Sarò padre e madre se sarò servo rispetto a questa gravidanza, se la rispetterò, se non vorrò deciderla io, se non mi attaccherò alle mie idee sulla mia vita, ma la accoglierò per come lei si presenterà. La strage degli innocenti non è tanto un fatto storico, ma è ciò che accade ogni qualvolta il nostro mondo interiore non viene dato alla luce, ogni qualvolta si rifiuta la nascita a ciò che deve nascere, si rifiuta la vita a ciò che deve vivere. Quando l'uomo non genera il Figlio dell'Uomo (il Dio, il progetto inscritto in sè) allora si compie questa strage; ogni qualvolta l'uomo si dimentica dell'anima, ogni qualvolta l'uomo vive disinteressandosi di ciò che ha dentro, ogni qualvolta l'uomo vive presumendo dal Dio che ha in sé compie delle terribili tragedie. I nostri figli naturali muoiono lungo le strade per corse folli, nelle discoteche tra stordimento e droghe, nelle case tra depressioni e senso di vuoto perché noi genitori di ruolo, ma incapaci di generare, non siamo stati in grado di generare il nostro mondo interiore, perché noi li abbiamo privati delle radici, perché noi abbiamo tagliato loro le gambe alienandoli dalla loro anima e dal loro profondo. E l'esterno è soltanto l'oggettivazione dell'interno.
Io ho un segreto, un "figlio" che vuole nascere. Io ho qualcosa da dire, da far nascere, da mettere al mondo; io non sono qui per sbaglio: lo sarò stato, magari, per i miei genitori, lo sarò per la società, ma non lo sono per Dio. Tutta la mia vita ruota attorno a questa fede: crederci o non crederci. Tutta la mia felicità starà nella scelta tra dar luce o tenere nel buio tutto questo. A volte il tempo di gestazione è di nove mesi, a volte di quarant'anni; a volte il parto è semplice e naturale, a volte il parto è lungo, doloroso: un travaglio. Ma c'è qualcosa in me che viene da più lontano di me, che è mio ma che non è mio, che mi abita ma che non possiedo. C'è un "figlio" che vuole nascere! Maria ed Elisabetta si benedicono, cantano, danzano, sono piene di vita perché comprendono che attraverso di loro si sta compiendo qualcosa che le supera, qualcosa di più grande. Il mistero sta prendendo corpo, sangue, forma in loro. Loro si sono fidate, gliel'hanno permesso, e adesso ciò che era nascosto, oscuro prende volto e nome.
Poi Maria canta il Magnificat. Certamente Maria non ha mai detto, né scritto il Magnificat, che è un testo, un inno liturgico della prima comunità cristiana, ma esprime un lato importante di Maria. Maria non è solo l'umile donna, la serva fedele al Signore, tutta obbediente e passiva a Dio. Il Magnificat è un inno di lotta contro l'oppressione e per la giustizia. Quando leggo questo canto sento un'onda d'urto verso tutte le falsità e le ipocrisie, sento l'indignazione per quei rapporti di potere e di oppressione che vedo attorno, sento il desiderio di battermi contro le strutture d'ingiustizia. Maria qui è più vicina a Giovanna d'Arco che all'umile serva sempre in remissivo ascolto.

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