mercoledì 14 luglio 2010

E tu non consolarti, non occorre che tu ti consoli, piangi pure... ma ricordati...

Di fronte al dolore di una morte improvvisa non si sa cosa dire, soprattutto quando le parole risultano un arrogante tentativo di negare il fatto e di conseguenza  impedire la manifestazione del dolore.
Anche in questa pagina di Dostoevskij il tentativo dello starec è visto distante dalla donna che ha perso il figlio.
Riporto da pag 67dei fratelli Karamazov ed Einaudi.
La donna lo ascoltava con la guancia appoggiata alla mano e con gli occhi bassi. Sospirò profondamente.
– Anche Nikìtuska, per consolarmi, mi parlava proprio come te. «Non sei ragionevole» mi diceva. «Perché piangi? Il nostro bambinello è vicino al Signore Iddio e canta insieme con gli altri angeli». Mi dice così, ma piange anche lui; lo vedo che piange come me. «Lo so, Nikìtuska», dico io, «dove potrebbe essere se non accanto al Signore Iddio?… ma qui con noi ora non c’è più, Nikìtuska, non è più seduto qui vicino a noi come prima…». Se lo vedessi solo una volta, se potessi rivederlo una volta ancora! Non mi avvicinerei, non gli direi neppure una parola, mi nasconderei in un angolo pur di vederlo un attimo, pur di sentirlo giocare nel cortile e poi venire, come una volta, gridando con la sua vocetta: «Mammina, dove sei?» Potessi solo una volta, una volta sola sentirlo camminare nella stanza con i suoi piedini che facevano toc toc!… Mi ricordo che quasi sempre correva da me gridando e ridendo! Potessi solo sentire i suoi piedini, sentirli, riconoscerli! Ma lui non c’è più, bàtjuska, non c’è più e non lo sentirò mai più! Ecco qui la sua cinturina, ma lui non c’è più e io non potrò mai più né vederlo né sentirlo!
Essa cavò dal seno la piccola cintura di passamano del suo bimbetto e, al solo vederla, fu scossa dai singhiozzi e si coprì il volto con le dita attraverso le quali colarono rivi di lacrime.
– Questa – disse lo starec – questa è l’antica «Rachele che piange i suoi figli e non può consolarsi perché essi non sono più»; tale è la sorte assegnata sulla terra a voi madri. E tu non consolarti, non occorre che tu ti consoli, piangi pure; ma, ogni volta che piangi, ricordati che il tuo bambino è uno degli angeli di Dio, che di là ti guarda e ti vede, gioisce delle tue lacrime e le indica al Signore Iddio. E ancora a lungo durerà questo tuo sublime pianto di madre, ma alla fine si trasformerà in una quieta gioia, e le tue amare lacrime non saranno più che lacrime di dolce tenerezza e di purificazione del cuore che laveranno la tua anima dal peccato. Io pregherò per la pace del tuo bambino: come si chiamava?

Mi ha bagnato i piedi con le lacrime
Per questo ti dico:
le sono perdonati i suoi molti peccati
perché molto ha amato.  
È difficile parlare delle lacrime. Non sono forse il segno della mancanza della parola? Quando la lingua è incapace di esprimersi, lo fa il cuore e gli occhi parlano con le lacrime.
Chi può interpretare questo linguaggio dove i sentimenti sono tutti mescolati in un sol gusto! E’ una lingua che parla tutte le lingue! Una lingua dell'anima che riversa la sovrabbondanza dei suoi sentimenti più sinceri!
Le lacrime sono la consolazione dell'oppresso, la patria dello straniero, i genitori dell'orfano, il riposo di coloro che sono spossati, l'espiazione degli errori, il segno del pentimento, il pe­gno della conversione. Lavano il cuore, purificano le membra, guariscono l'anima malata. Sono il linguaggio dello spirito, la preghiera del silenzioso, il disprezzo del mondo, la tenera no­stalgia del cielo, l'attesa della morte.
E se le lacrime possono suscitare l’ironia di cuori incatenati dalla durezza, quando incontrano cuori misericordiosi, li fanno letteralmente fondere.
Ma quale titolo di gloria più grande per le lacrime che entrare al cospetto dell'Onnipotente e intrattenersi con lui? "Ho udito la tua preghiera e visto le tue lacrime" (2Re 20,5).
Anche se cadono a terra come cose disprezzabili, esse ven­gono raccolte nell'otre di Dio: "Raccogli le mie lacrime in un vaso" (Sal 56,9).
E se non commuovono i cuori duri, fanno tremare la soglia dei cieli; "Mentre io stavo ancora parlando e pregavo e confessavo il mio peccato... e presentavo la supplica al Signore Dio mio… Mentre dunque parlavo e pregavo, Gabriele, che io avevo visto prima in visione, volò veloce verso di me .. Egli mi rivolse questo discorso: ‘Daniele, sono venuto per istruirti e farti com­prendere. Fin dall'inizio delle tue suppliche è uscita una parola e io sono venuto per annunziartela’” (Dn 9,20-23).
Anche se non possono intenerire la durezza dei capi, esse pos­sono guadagnare la tenerezza di Dio: "Distogli da me i tuoi occhi: il loro sguardo mi turba" (Ct 6,5).
Oh lacrime! Come sembrate disprezzabili agli occhi dei saggi e dei sapienti che hanno fatto di voi il segno della debolezza e del cedimento della personalità! Ma, invece, come è grande la vostra gloria, dal momento che il Signore stesso ha detto beati gli occhi che di voi si riempiono: "Beati quelli che piangono" (Le 6,21).
Giovanni Climaco, narrandoci la propria esperienza delle la­crime, dice: "Esse sono madre e figlia della preghiera". Ed è vero. Le lacrime spingono a ritirarsi nella propria camera per la preghiera e là, fonti vive delle lacrime ci sono offerte, affinché possiamo attingervi a volontà: "Chi farà del mio capo una fonte di acqua, dei miei occhi una sorgente di lacrime, perché pianga giorno e notte?" (Ger 8,23).

Confessione
(Hoda Ablan n. a Eb, Yemen nel 1971)

Talvolta, la sera, scoppio a piangere
poi mi adiro per le mie lacrime,
       che hanno illuminato il mondo e consumato me.

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