mercoledì 24 marzo 2010

Nel 30° anniversario dell’assassinio di Oscar Arnulfo Romero (24 marzo 2010 - giornata di preghiera e digiuno per tutti i missionari martiri)



http://www.aocchiaperti.org/index.php/editoriali/14-notizie/49-ricordando-il-vescovo-romero
Scritto da Enrico Fantoni
“Se mi uccideranno risorgerò nel popolo salvadoregno”
Ricordo perfettamente l’emozione, lo sgomento, la paura che suscitò la notizia dell’assassinio di mons. Romero in quel lontano 24 marzo 1980… E questa memoria non ha niente a che vedere con quel revival di figure e di idee che ha popolato la gioventù di tutti noi. Mons. Romero è presente per ben altri motivi.
Quando fu ordinato vescovo nel 1974, Romero era una persona moderata, sospettosa verso tutto ciò che metteva in discussione l’ordine costituito. Tuttavia possedeva una grande virtù: sapeva ascoltare. Così quando vide cadere intorno a sé, assassinati dagli squadroni della morte, un numero sempre maggiore di sacerdoti e di laici colpevoli solo di vivere la tensione evangelica verso i poveri, Romero cominciò ad interrogarsi seriamente sulla propria vita e sulle scelte pastorali. Come ebbe spesso a ricordare, furono le morti dei suoi sacerdoti a convertirlo, a farlo non solo riflettere, ma a costringerlo a cambiare atteggiamento nei confronti di un regime sempre più violento nel reprimere tutto ciò che si discostava dalla pura obbedienza alla legge del più forte.
Da quel momento mons. Romero divenne e si mantenne fino alla fine l’unica voce non violenta capace di opporsi con successo alle ondate di violenza del regime. Questa fedeltà non venne mai meno. Sicuramente quando la domenica prima di essere ucciso sull’altare pronunciò quelle parole: “In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, vi ordino: non uccidete! Soldati, gettate le armi…”, sapeva benissimo che gli potevano costare la vita, ma non tacque.
Mons. Romero incarna quell’essere Chiesa che attraverso la capacità di ascolto, di conversione e di fedeltà alle scelte fatte è un modello nel quale vorremmo riconoscerci tutti. Per questo quel 24 marzo 1980 è così vicino a noi.




Fratelli che fanno arrossire


Arshad Masih era mio fratello. Fratello nella fede e per quanto mi riguarda fratello a tutti gli effetti. Aveva 38 anni, una moglie e tre figli ed è stato arso vivo in Pakistan perché cristiano. Non lo conoscevo, eppure eravamo fratelli. Credevamo nello stesso Padre, nella stessa Chiesa, nello stesso Salvatore, nella stessa speranza di risorgere alla Vita Eterna. Non so quale fosse il suo cibo preferito, quale il suo colore prediletto, cosa amasse della vita e perché avesse scelto di essere cristiano in un paese a stramaggioranza islamica, ma era mio fratello. So solo che era pakistano, come quelli che tante volte mi si sono avvicinati in pizzeria o a villa Borghese implorando di comprare una rosa e che con ruvida gentilezza ho sempre allontanato. Il suo datore di lavoro musulmano gli aveva intimato di convertirsi all’Islam e, dopo l’ennesimo rifiuto, un gruppo di fanatici ha pensato bene di cospargerlo di benzina e darlo alle fiamme; la moglie è corsa immediatamente a denunciare il misfatto ma i poliziotti, anziché ascoltarla e intervenire, l’hanno stuprata senza pietà di fronte ai suoi tre figli. Arshad Masih era mio fratello. Recitava lo stesso mio Credo, la stessa Eucaristia, tra qualche giorno anche la stessa Pasqua. La sua fede l’ha testimoniata sulla graticola come un novello San Lorenzo mentre per noi, della parte cristiana del mondo, è un problema se la Messa c'è alle 18:00 e alle 19:00 ma non alle 18:30.
L’oste

09:00 Scritto da : osteriavolante in 3- chiesa




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